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Immigrazione. Fantasmi

Rocca, n. 7, 1 aprile 2009, pag. 28

A volte ritornano. Stiamo parlando dei rigurgiti xenofobi che stanno scuotendo
la penisola, che appunto ritornano con tutti i loro miasmi, additando alcune categorie sociali, o peggio, alcune etnie, come causa di tutti i mali e dei reati che ogni giorno si commettono nel bel paese. Tranne poi scoprire, scorrendo le statistiche, che la maggior parte delle violenze private o degli incidenti stradali sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o di alcol, due fenomeni che stanno creando allarme sociale, sono commessi da italiani, a volte rampolli di buone famiglie senza alcun problema apparente di emarginazione sociale o di disponibilità economica.
In questo clima già incandescente ci si mette anche la stampa quotidiana
(tranne qualche rara e lodevole eccezione) a gettare benzina sul fuoco con titoli
sempre più spesso sensazionalistici e a caratteri cubitali. Del resto bisognerà pur fronteggiare la crisi dell’editoria, a costo di giocare con la pelle delle persone. Quando insieme all’insicurezza economica dovuta alla crisi si alimenta in modo artificioso la percezione dell’insicurezza della propria incolumità attribuendo la responsabilità di quest’ultima a precise figure etniche o sociali, allora la miscela è pronta per esplodere da un momento all’altro. E i primi a pagarne le conseguenze sono proprio loro, gli immigrati: una volta i marocchini, poi i tunisini, poi i nigeriani, poi i cinesi, infine, a pari merito, i rom e i rumeni. Una volta erano soprattutto gli ebrei e poi i comunisti, i gay, gli zingari e gli oppositori di ogni risma. Noi europei dovremmo sapere come andò a finire. Viene da pensare che avesse ragione Gramsci quando diceva che “la
storia è una maestra senza allievi”.
“La stampa italiana è la peggiore a livello internazionale, pari solo alla peggiore
stampa scandalistica di altri paesi. Su questo non ho ombra di dubbio”. Parola di Robert Elliot, britannico di Londra, in Italia ormai dal 1983, che guarda il fenomeno migratorio dall’osservatorio dell’Associazione cittadini del mondo della sua città di adozione che si occupa di integrazione culturale.
Intanto, siamo già arrivati al punto che questo governo ha varato una norma
che obbliga i medici a denunciare gli immigrati senza permesso di soggiorno che si rivolgono a loro per curarsi. Una volta erano i presidi delle scuole a dover denunciare gli insegnanti ebrei. Corsi e ricorsi della storia. E la china sembra prendere una brutta piega se a questo aggiungiamo il decreto sicurezza che istituisce le ronde di privati cittadini. Per fortuna sono sempre di più i singoli professionisti e gli ordini dei medici, provinciali e regionali, che hanno dichiarato che faranno obiezione di coscienza a questa norma che viola i principi deontologici della professione e il giuramento di Ippocrate.
“Anche se vivo onestamente io sono visto come i miei connazionali che
commettono reati. Loro danneggiano anche me. Così, quando mi rivolgo alle agenzie per cercare lavoro ho la netta sensazione che il lavoro per me non ci sia perché sono rumeno. Sono convinto che nonostante la crisi un lavoro qualunque per me ci sarebbe. Eppure niente. Non ho la pretesa di trovare un lavoro che corrisponda ai miei studi perché sono in una situazione quasi disperata”.
E’ Vlad a parlare ora. Ha 23 anni, rumeno, faccia pulita da bravo ragazzo, laureato in geografia didattica, parla un inglese fluente. Da quattro mesi è in Italia e parla già un buon italiano grazie al lavoro dell’Associazione di Elliot che offre gratuitamente corsi di alfabetizzazione agli immigrati. “Se non avessi trovao questa associazione non saprei dove sarei finito”, dice Vlad. Quanto si dice che il volontariato può costituire il collante per tenere insieme la convivenza civile in questo paese. Ma per un Vlad che cerca disperatamente di stare alla luce del sole, quanti sono quelli che non trovano un’àncora a cui aggrapparsi arrivando nel nostro paese e sono costretti a nascondersi?
Vlad è entrato in Italia con un visto turistico per ricongiungersi ai suoi genitori
che vivono qui da cinque anni. Una madre anche lei laureata che fa la badante,
accudisce i nostri anziani, quelli che non sappiamo, non vogliamo, non possiamo curare. E così le badanti diventano un surrogato di figli o parenti prossimi. Eppure sono immigrati, in molti casi rumeni, spesso “clandestini”, una parola che indigna Mihai Boeru, in Italia da 18 anni, musicista, ex primo violino dell’orchestra sinfonica di Craiva, ormai con la doppia nazionalità, dunque un nostro connazionale a tutti gli effetti. Lui l’immigrazione l’ha vista crescere, cambiare. Ha visto cambiare anche noi, le nostre leggi, i nostri atteggiamenti nei confronti del fenomeno immigratorio.
“Si dice che sono cambiati i numeri dell’immigrazione, ma questo non è un
problema, i numeri si governo come avviene in altri paesi europei. In Germania i numeri non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli dell’Italia eppure la convivenza tra le diverse etnie è assolutamente normale e tranquilla perché a tutti, accanto ai doveri, sono riconosciuti i propri diritti. Ciò che è cambiato in peggio in Italia è l’atteggiamento dello Stato nei confronti degli immigrati e di conseguenza è cambiato anche l’atteggiamento dei cittadini italiani. Qui il marchio di clandestino è un marchio a fuoco dal quale non ci si libera più. Se non hai il permesso di soggiorno come persona non esistiti. Sei clandestino e in più non puoi nemmeno espatriare, perché appunto non sei nessuno, ma nello stesso tempo sei prigioniero nei confini di uno Stato che non ti riconosce”. Persone non persone, fantasmi dal punto di vista giuridico, criminali per quelli che vogliono far diventare un reato penale l’immigrazione
irregolare. E da criminali sono trattati quando vengono rinchiusi nei CTP. Senza distinzione di età e di sesso. E senza che abbiano commesso un reato, a meno che non si consideri reato aspirare ad una vita migliore.
L’aspetto buffo, se non fosse che dietro c’è il dramma di tante persone, è che la
legge Bossi-Fini che stabilisce i flussi di ingresso impedisce a chi è già nel nostro
paese di regolarizzarsi, anche se ha già trovato un lavoro. Se cerchi un lavoro e trovi qualcuno disposto ad assumerti non devi essere nel territorio italiano, ma nel tuo paese. E come lo trovi se sei a diecimila chilometri di distanza? “Nel momento della stipula del contratto di lavoro il lavoratore deve trovarsi nel suo paese di origine e può entrare in Italia solo in forza del contratto di lavoro e della garanzia di un alloggio”, ci spiega il dirigente di una piccola-media impresa che si occupa di smaltimento di rifiuti speciali che di assunzioni di questo tipo ha cercato di farne il più possibile prima di arrendersi di fronte ai lacci e lacciuoli messi dalla burocrazia. “I flussi sono una farsa, una vera e propria ipocrisia – dice Boeru – perché gli immigrati sono già qui. Allora si
ha la netta sensazione che tutti questi ostacoli previsti dalla legge siano studiati ad arte per costringerci ad andare via”. Anche le aziende ad un certo punto smettono di cercare questa manodopera anche per quei lavori che gli italiani non vogliono più fare. Infatti, come se non bastasse gli oneri burocratici a carico dell’imprenditore sono enormi.
“Nel momento del rinnovo del permesso di soggiorno – ci spiega sempre il
nostro dirigente d’azienda che preferisce restare anonimo – il datore di lavoro deve garantire che il lavoratore abbia un regolare contratto di affitto e viva in un’abitazione conforme alle norme previste dall’Ausl in termini di sicurezza e igiene. Inoltre, deve garantire di sostenere i costi nel caso in cui il lavoratore debba essere rimpatriato”.
Verrebbe da chiedere al legislatore: ma se ha un contratto di affitto si presume che la casa abbia il certificato di abitabilità. Si è mai chiesto il nostro legislatore come vivono nelle nostre città molti studenti universitari fuori sede e se hanno un contratto di affitto regolare? Forse sarebbe il caso di fare qualche accertamento. Ma si sa, gli studenti fanno parte dell’economia ricca, portano soldi e i proprietari delle case a volte sono grandi elettori, guai scomodarli.
Torniamo a Vlad, ai suoi sogni, alle sue aspirazioni di giovane europeo di 23
anni, molto simili a quelli di tanti altri giovani di casa nostra. “Sono qui perché voglio studiare, voglio lavorare, voglio farmi una vita con un livello civile, vorrei fare un master in antropologia culturale o in comunicazione”. Sogni che il figlio del signor Boeru ha potuto realizzare, in Germania. “Mio figlio ha studiato musica in Germania. Poi ha partecipato ad un concorso per insegnare all’accademia musicale di Colonia e lo ha vinto ed ora insegna. In Italia tutto questo non sarebbe stato possibile. In Germania il permesso di soggiorno lo ottieni in due ore. Qui te lo danno dopo un anno quando è già scaduto”.
Negare il permesso di soggiorno a chi arriva vuol dire negare il diritto alle persone di esistere e di avere un’altra opportunità di vita. Regolarizzandole, invece, si costringerebbero queste persone a stare alle regole e a rispettarle. E come dire: io ti do la possibilità di rifarti una vita, ti riconosco come persona, ti do un tempo entro cui cercarti un lavoro, queste sono le regole. Dopo di che se non avrai trovato una sistemazione qui da noi non di deporto nel tuo paese riportandoti al punto di partenza della tua vita, come si fa ora, ma ti do un permesso di espatrio per cercarti un’altra opportunità da un’altra parte. Forse così verrebbe abbattuto il labile confine che separa la clandestinità, a cui il nostro Stato costringe le persone, dal crimine. E in fondo sarebbe motivo di sicurezza per gli stessi italiani. Altre che ronde!
L’episodio che ci racconta Vlad è emblematico della negazione dell’essenza
stessa della persona, cioè la sua identità. “Sono andato in un’agenzia per il lavoro e mi hanno chiesto i documenti. Ho dato la mia carta d’identità originale del mio paese, ma mi hanno detto che per loro non andava bene, ci voleva il permesso di soggiorno”. Fantasmi, appunto, persone non persone. Sans papier, come in Francia. Ci sarebbe da affrontare il tema della certezza della pena per chi delinque riesploso a seguito dei recenti fatti di cronaca, ma questo è un tema che prescinde dal fenomeno dell’immigrazione e riguarda il funzionamento della macchina della giustizia sia per i cittadini italiani, a tutti i livelli, comprese le più alte cariche dello Stato (scusate, dimenticavo che sono immuni e innocenti per decreto) sia per gli stranieri. Vogliamo citare l’indulto generalizzato concesso dal precedente governo con un accordo bipartisan? Meglio stendere un velo pietoso.
La soluzione prova a suggerirla Vlad: “Ci vorrebbe una collaborazione tra l’Italia
e la Romania per affrontare il problema di questi delinquenti. L’Italia deve essere consapevole del proprio ruolo in Europa e fare in modo che anche lo Stato rumeno si impegni nel controllo di chi esce dalle proprie frontiere”. “Chi commette un reato in Romania sconta la pena fino all’ultimo giorno. In Italia, invece, la pena è qualcosa di vago tanto che chi commette un reato in Romania viene qui perché tra di loro si passano la voce”, dice Boeru. Che ci piaccia o no anche in questo gli immigrati sono lo specchio del nostro livello di civiltà.
Giuseppe Fornaro

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