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Crisi economica. Alla ricerca del lavoro perduto

Rocca, n. 10, 15 maggio 2009, pag. 20

“Per la festa del papà mi sono concesso una giornata tutta per me: sono andatoa pescare, per svuotare un po’ la mente. Di fianco avevo altri due pescatori e cosìabbiamo cominciato a scambiare due parole sulla pesca, come si fa di solito, poi,come spesso capita, una parola tira l’altra abbiamo finito col parlare un po’ di noi. E’venuto fuori che eravamo tre disoccupati appena lasciati a casa dal proprio datore dilavoro”.
Ecco la crisi economica diffusa, in questo fermo immagine che ci racconta di trepescatori sulla sponda di un canale della bassa pianura padana. Intorno a noi,ovunque ci si giri, con chiunque si parli, se ci fate caso, c’è sempre qualcuno che hada poco perso il lavoro, sia che lo conosciate direttamente sia che si tratti diconoscenti di vostri conoscenti. In questo sta la drammaticità di questa crisieconomica: è intorno a noi, a volte dentro di noi, nelle nostre famiglie, ma anchedentro nel senso di insicurezza che si instilla in chi un lavoro ce l’ha.
Gianfranco ha 47 anni, ex impiegato di una concessionaria di auto diun’importante casa automobilistica estera che ha deciso di chiudere definitivamenteper la crisi delle vendite. Era addetto alla ricezione delle auto che entravano inofficina. É senza lavoro da agosto e con un’indennità di disoccupazione che dureràsoltanto ancora un paio di mesi. I primi sei mesi all’80% dello stipendio, i restanti dueal 60. Moglie con lavoro part time in un supermercato e una figlia di 18 anni chequest’anno farà la maturità. E poi, forse, l’università, se ci sarà la possibilitàeconomica.
“Undici anni fa mi sono trovato nella stessa situazione, ma adesso è diverso: c’èla crisi e come se non bastasse sono più vecchio di undici anni e con unammortizzatore sociale minimo. Le offerte di lavoro che vedo in internet sono rivolte apersone con un’età compresa tra 25 e 30 anni massimo. E’ frustrante sentirsiconsiderato vecchio nonostante il tuo bagaglio di esperienza professionale. Alla miaetà sarebbe legittimo, invece, aspettarsi un riconoscimento professionale e invece sei considerato merce di scarto. Il dramma è doversi confrontare con tanti giovani che hanno diritto al lavoro ed hanno il vantaggio di avere 20 anni meno di te. Ho cominciato a lavorare a 17 anni e penso che dovrebbe esserci maggior considerazionedelle istituzioni nei confronti delle persone come me. Ho già portato in giro un centinaio di curriculum, sono disposto a fare qualsiasi lavoro, eppure non riesco atrovare nulla e non è solo colpa della crisi, ma, temo, anche del fattore età”.
Che senso ha parlare di innalzamento dell’età pensionabile se la prospettiva diuna persona di 47 anni, nel pieno delle proprie forze psico-fisiche, è quella di nontrovare più un lavoro, di non poter valorizzare ancora per molti anni l’esperienzaprofessionale di una vita? Perché buttare a mare tante risorse di esperienza? Parlare di innalzamento dell’età pensionabile in un’economia in recessione e in un contestosocio-culturale che considera le persone uscite dal processo produttivo merce inscadenza, come le mozzarelle, è pura accademia, astrazione, aria fritta. In un’economia in espansione e in un’organizzazione sociale diversa dall’attuale chegarantisse a chi perde un lavoro di trovarne un altro avrebbe senso discutere di etàpensionabile. Altrimenti è una presa in giro. “Va bene farci lavorare più a lungo, madateci la possibilità di farlo”, è la sintesi perfetta di Gianfranco.
Anche per i giovani però non è facile. “Li cercano con 25 anni di età e 20 diesperienza”, sintetizza Paola con una battuta. Lavoratrice tessile senza lavoro dal 16dicembre scorso dopo che i titolari dell’azienda a conduzione familiare, contoterzista monomarca, hanno deciso di chiudere i battenti lasciando a casa 26 persone prevalentemente donne. Ma il tessile è un po’ la cartina di tornasole del settore produttivo, il termometro che registra ogni minima variazione della febbre del mercato perché le famiglie alle prime avvisaglie di difficoltà la prima cosa che tagliano dalle spese sono quelle sul vestiario. Già dalla fine del 2007 e per tutto il 2008, infatti, didifficoltà ce ne sono state tante per molti di coloro che hanno un mutuo casa a tassovariabile che era schizzato in alto falcidiando gli stipendi. Infatti, già dal 2007 nella ditta di Paola i 26 dipendenti facevano la cassa integrazione a rotazione per lacontrazione degli ordinativi. Certo, la strategia aziendale di lavorare per un solomarchio non era lungimirante, ma probabilmente la situazione non sarebbe cambiatadi molto. Le commesse dell’azienda di Paola erano passate da lotti di 300-400 paia dipantaloni a 20-30, del tutto insufficienti a mantenere in piedi un’impresa.
Ora Paola, a 45 anni, si trova a dover fare un corso di formazione per lavorare atempo determinato presso un Caf (centro di assistenza fiscale) in vista del periododella dichiarazione dei redditi. E fin qui nulla di male, la formazione continua è unagaranzia per restare sul mercato del lavoro, ma lo stage che seguirà alla formazioneproprio non le va giù. “Fare la stagista alla mia età è un po’ umiliante. E poi ho fatto questo lavoro per un altro Caf per 11 anni. É vero che nel frattempo la normativa è cambiata, però lo stage...”.
Un destino che la accomuna a Giuseppe, 48 anni, disoccupato di lungo corso.Molti anni fa chiuse la propria attività commerciale e da allora è stato un calvario costellato di lavori a termine e lunghi periodi di disoccupazione. Anche lui ha frequentato un corso di formazione presso un’associazione di categoria del commercio ed anche lui, ora, si ritrova a fare uno stage a zero centesimi presso un supermercatodi una catena nazionale.
“Alla mattina vado al supermercato a fare lo stage nella speranza che poi mitengano, al pomeriggio vado in campagna a dare una mano ad un amico per preparare l’orto per la produzione estiva, e alla sera faccio il pony express in una pizzeria”, ci racconta Giuseppe. Tre lavori che a mala pena gli consentono di mettere insieme il pranzo con la cena.
Ma il massimo della beffa ce lo racconta Renato, 40 anni, ex dipendente diun’azienda tedesca a conduzione familiare ma con stabilimenti in varie parti d’Europae del mondo che produceva trafilati in Pvc. “Ad agosto – racconta Renato – non abbiamo fatto nemmeno le ferie talmente tanti erano gli ordinativi che non riuscivamoa smaltire con l’orario normale di lavoro. A dicembre per le feste di Natale ci hannopermesso di fare le ferie. Dovevamo rientrare il 7 gennaio, ma ci hanno prolungato leferie fino al 12. Quando siamo rientrati sembrava fossero venuti i ladri, avevano forzato i catenacci e portato via i macchinari e gli stampi per la trafilatura. Sono venuti dalla Germania con dei Tir, hanno caricato tutto e chi si è visto si è visto”.
Trenta dipendenti a spasso, 17 a tempo indeterminato e 13 che avevano un contratto a termine fino al 31 dicembre, ma con la prospettiva, così avevano fatto credereprima delle ferie natalizie senza lasciar trapelare nulla sulle reali intenzioni, di unrinnovo. Una versione confermata dalla Filcem-Cgil che ha dovuto lottare perché ititolari, attraverso i dirigenti locali, pretendevano che fossero i dipendenti a dare le dimissioni e non loro a licenziarli, erano convinti di poter chiudere dall’oggi al domanie senza una spiegazione. Questo avrebbe impedito alle 17 persone di accedereall’indennità di disoccupazione. Succede anche questo in Italia, in quella che pretendedi essere l’ottava potenza economica del mondo, ma che spesso è terra di nessunoper le scorribande di finanzieri senza scrupoli (caso Parmalat docet) e pseudo imprenditori altrettanto cinici.
“Abbiamo saputo dopo dall’avvocato dell’azienda che il governo tedesco ha datoindicazione agli industriali di affrontare la crisi chiudendo le sedi estere per tutelare ilavoratori tedeschi in patria”, racconta Renato. Condivisibile o meno che sia, per lomeno è una strategia di sistema che parte dal governo centrale. Una politica economica che si fa fatica a percepire a casa nostra dove a prevalere sono le battuteda bar sport del premier e dove invece gli imprenditori nostrani tendono adesternalizzare le produzioni e a chiudere gli stabilimenti in Italia. La Fiat, tanto perfare un esempio, chiede la cassa integrazione qui da noi e questo le permette di faregli accordi plurimilionari con la Chrysler negli USA. Indirettamente un sostegno di Stato, sulla pelle dei lavoratori, all’allargamento di quote di mercato dell’impresa nazionale.
Per tornare all’assenza di una politica industriale, “se c’è una cosa che manca inItalia - dice Giuliano Guietti, segretario provinciale della Cgil di Ferrara - è qualcosache le assomigli. Quando c’è la crisi è una mancanza che viene maggiormente inrilievo. Politica industriale vuol dire scegliere quali settori, quali filiere produttive, quali attività di ricerca applicata, quali modelli di innovazione tecnologica debbano esserefavoriti e incentivati. Il nostro futuro dipende da questo tipo di scelte che invece danoi sono delegate al mercato. Il mercato, come si sta vedendo bene in questo periodo, genera mostri e disastri umani, se la politica rinuncia al suo compito regolatore”.
Le strategie per affrontare la perdita del lavoro variano a seconda dellacondizione familiare. Gianfranco batte a tappeto tutte le possibilità, dalle agenzieinterinali a internet alle conoscenze personali, pur di uscire da questa situazione.
Renato, invece, che è tornato a vivere con i genitori dopo un periodo di emigrazione aTorino, può permettersi di aspettare, di guardarsi intorno. “Piuttosto che investire il mio tempo in un lavoro senza prospettive e che mi prosciuga le energie, preferiscoaspettare un po’ che passi questa crisi e fare un corso di formazione per unaprospettiva futura”. Paola, invece, ha giurato che nel settore tessile non ci vuole piùmettere piede, dice che le regole e i rapporti di lavoro sono arcaici perché le aziendesono spesso a conduzione familiare e il datore di lavoro ti sta addosso con ilcronometro e ti controlla anche quante volte vai in bagno. “Ci facevano lavoraresedute su delle sedie da cucina, quindi non adatte al nostro lavoro”. Per fortuna incasa entra un altro stipendio, quello del marito metalmeccanico; poi c’è il mutuo dellacasa e le preoccupazioni per il futuro con una figlia di 14 anni che il prossimo annodovrà affrontare le superiori. “Ho paura per il prossimo anno scolastico quando mi sipresenterà il conto dei libri che cambiano ogni anno anche se non ce ne sarebbebisogno. Per il momento sto attenta alle spese”. Ma come si fa? “Vai meno dalla parrucchiera, elimini il telefono fisso di casa, stai attenta ai prezzi quando vai a fare la spesa, oppure vai al discount, niente più cena fuori o cinema, piuttosto ci guardiamo un dvd io e mio marito per permettere a nostra figlia di uscire con gli amici. E non èche gli altri stiano meglio di noi. Tutti i nostri amici sono messi così. Anche le famiglie che consideravi isole felici adesso sono in crisi”.
Il fermo immagine si sposta dai tre pescatori sulla sponda di un canale ad una coppia seduta sul divano di casa a guardare un dvd. Immagini in dissolvenza.Sperando che passi presto.
Giuseppe Fornaro

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