Renzi dice che per la sinistra la parola rimpatrio non deve essere un tabù. D'accordo! Ma per i siriani qual è la patria? E per i libici? E per i curdi? E per gli iracheni? E per gli afgani? E per gli eritrei? E per molta parte dell'Africa dilaniata da guerre tribali? Qual è la patria? Non sarà il caso di considerare il mondo un'unica patria per gli esseri umani? O vogliamo considerare roba nostra le risorse che andiamo a depredare in quelle "patrie", ma poi non vogliamo condividere la ricchezza che ne deriva dalla spoliazione di quei popoli? Chi siamo noi per stabilire dei confini? Chi ci dà questo diritto? Solo il fatto di aver avuto il culo di nascere da questa parte del mondo? Mi sembra un po' poco affidare alla fortuna il destino di altri uomini.
A trentacinque anni di distanza credo valga la pena rileggere questo intervento che Pasolini tenne alla festa de l'Unità di Milano nel 1974 e pubblicato all'epoca da Rinascita . È di un'attualità impressionante. Si parla di genocidio dei valori, di crisi economica, di incapacità a distinguere "sviluppo" da "progresso" (quanto di più attuale quando tutti, anche a sinistra, ormai parlano solo di sviluppo e trascurano il progresso, tranne che nel dirsi progressisti a parole), del ritorno sinistro di valori propri della destra nazista. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti 1981, pag. 277. Vorrete scusare qualche mia imprecisione o incertezza terminologica. La materia – si è premesso – non è letteraria, e disgrazia o fortuna vuole che io sia un letterato, e che perciò non possegga soprattutto linguisticamente i termini per trattarla. E ancora una premessa: ciò che dirò non è frutto di un'esperienza politica nel senso specifico, e per così di
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