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Renzi, il pericolo del revanscismo generazionale

La scuola Mediaset ha lasciato il segno sulla comunicazione del neo segretario del Pd. A Renzi, infatti, va riconosciuta una grande capacità di comunicazione, un’attenzione a toccare le corde sensibili dell’uditorio, a porsi come il capitano di una squadra. “Sono orgoglioso di voi” ripetuto varie volte.
Devo confessare, però, che sentir parlare Renzi è stato un choc. Un discorso duro, dove non solo viene riaffermato il principio più volte ribadito della rottamazione, ma è stato lo sdoganamento, in più passaggi nei trentatre minuti di intervento, della contrapposizione generazionale, un principio pericoloso per la tenuta sociale. Anziani contro giovani, coloro che avrebbero fallito (a detta del neo segretario) contro coloro che hanno tutto da costruire e che finora sono stati esclusi dalla gestione del potere.
Di una verità oggettiva (l’esclusione dei giovani dal potere decisionale) Renzi ne fa un assioma per rivendicare l’indispensabilità di un ricambio generazionale. “Tocca a noi guidare la macchina. Tocca a noi che eravamo alle medie quando cadeva il muro di Berlino. Tocca noi che abbiamo scelto di iscriverci a giurisprudenza quando saltavano in aria Falcone e Borsellino. Tocca a noi che siamo cresciuti cittadini globali orfani della politica” (e cita i crimini di guerra del Ruanda e della ex Jugoslavia come simbolo dell’impotenza della politica). “Siamo cresciuti in un mondo orfano di politica”. Ora arriva Renzi e improvvisamente la politica, per una sorta di palingenesi, dovrebbe rinnovarsi attraverso il rinnovamento anagrafico.
E ancora, un altro passaggio ancora più duro per le implicazioni culturali oltre che politiche. “Noi stiamo cambiano i giocatori, non stiamo andando dall’altra parte del campo. Stiamo cambiando giocatori che hanno dato il meglio di se stessi, ma adesso hanno bisogno della sostituzione. Credo sia arrivato un momento in cui non possa bastare più continuare a sentirsi raccontare quanto è stata bella la loro storia, è arrivato il momento di scrivere la nostra storia e non solo sentirsi raccontare quanto è stata bella la storia degli altri”. Come se quella storia narrata non fosse anche la storia dell’emancipazione di intere generazioni dalla sottomissione, la fame, la negazione dei diritti, ma fossero una favola dal “lieto” fine. E qui potrebbe aprirsi un varco ai tanti relativismi storici di cui negli ultimi due-tre decenni se ne sono visti di tutti i colori. Dove vuole arrivare Renzi?

Ma c’è un passaggio che mi ha fatto saltare sulla sedia (oltre a quello, che non merita commento, sul sindacato la cui tessera sarebbe un viatico per la carriera, sic!) quando ha detto: “Talvolta abbiamo detto che era giusto privatizzare e abbiamo svenduto, non solo per colpa della sinistra, ma anche nostra”. Renzi, “nostra” di chi? Tu non ti senti parte della sinistra? O per te, in te, parlava qualcun altro? 

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