Parliamoci chiaro: il provvedimento sulle intercettazione che il governo si accinge a varare solo in parte ha a che fare con il diritto di cronaca. Il vero diritto messo in discussione da questo provvedimento è quello all'accertamento e alla persecuzione dei reati assicurando alla giustizia chi viola la legge. In discussione c'è la possibilità o meno di perseguire chi viola le regole della convivenza civile, il patto sociale democratico su cui si regge qualsiasi ordinamento. Temo che il dibattito sul diritto di cronaca sia servito come boccone avvelenato per nascondere il vero contenuto scabroso di questa legge e cioè che non sarà più possibile perseguire i reati della cosiddetta "cricca" e partendo da questi arrivare all'associazione a delinquere di stampo mafioso, che non è una fattispecie di reato che si presenta subito chiara e nitida agli investigatori, ma alla quale ci si arriva indagando magari su reati considerati "minori". "Se il ddl Alfano sulle intercettazioni fosse stato approvato in passato, oggi Riina e Provenzano sarebbero liberi", ha detto il procuratore Antonio Ingroia. Ecco di cosa stiamo parlando quando si discute di intercettazioni.
Se così stanno le cose, come io credo, come cittadino ciò che mi preme più di ogni altra cosa è che la magistratura sia messa in condizioni di operare, di accertare i reati e assicurare alla giustizia i responsabili. Capisco il punto di vista dei colleghi giornalisti che si sentono minacciati, perché questo ha a che fare con la salvaguardia del loro posto di lavoro e a loro deve essere espressa tutta la solidarietà del caso in quanto lavoratori. Del resto questo giro di vite sulla fuga di notizie rischia di mettere ancora più in crisi l'editoria della carta stampata già in un drammatico calo di vendite dei quotidiani. Chiudere le notizie di giudiziaria significa mettere in ginocchio il settore perché, come si dice, la giudiziaria tira, fa ancora vendere copie, fa fare incassi agli editori anche in termini di introiti pubblicitari. Vi sono persino giornali nati di recente interamente fatti di cronaca giudiziaria che non avrebbero più alcun motivo di esistere se passasse il cosiddetto "bavaglio". Lo stesso "Giornale" della famiglia Berlusconi (tanto per dire l'uso politico che se ne fa della cronaca giudiziaria) pubblicò alla fine del 2005, ancor prima che le intercettazioni fossero trascritte per il pm, i contenuti della conversazione telefonica tra Piero Fassino e Giovanni Consorte (il primo neppure indagato) impegnato nella scalata Unipol alla Bnl. Ed è notizia di ieri l'arresto di Fabrizio Favata per estorsione ai danni di Roberto Raffaelli, titolare della ditta che ebbe l'incarico di eseguire le intercettazioni dalla procura di Milano che indagava su quella scalata bancaria.
La salvaguardia del posto di lavoro dei giornalisti, non ha nulla a che fare con la libertà di stampa. La stampa è libera, se ne ha le capacità, di fare inchieste, di fare notizia, di cercarle in proprio e denunciare il malaffare e il marcio che c'è nel sistema e di far scaturire da qui inchieste giudiziarie. Da questo punto di vista il modello giornalistico di "Report" di Milena Gabanelli è un esempio del miglior giornalismo esistente in Italia. Il problema è che sempre più le redazioni sono piene di culi di pietra, gente che non si sposta dalla sua scrivania, ma che, attraverso varie fonti (a volte spezzoni di servizi), riceve atti giudiziari per poi pubblicarli a puntate e col contagocce per tirare avanti nel tempo, paralizzando così anche il dibattito politico. Ma per fare queste operazioni di copia-incolla non occorre essere iscritti all'Ordine dei giornalisti come professionisti e aver sostenuto un esame di Stato, basta saper copiare e fidarsi della fonte alla quale poi sarà restituito il favore in un secondo momento, magari con gli interessi. Tanto vale, allora, abolire l'Ordine dei giornalisti, unico sopravvissuto nel panorama mondiale dell'informazione.
Che paese è quello in cui il dibattito politico è continuamente paralizzato e condizionato dall'uso strumentale di notizie giudiziarie, da una parte e dall'altra degli schieramenti politici, mentre centinaia di migliaia di persone perdono il lavoro e i giovani non lo trovano? Uso, per inciso, che mette spesso a serio pericolo l'efficacia stessa delle indagini. Già oggi è penalmente perseguibile la fuga di notizie prima che gli indagati abbiano ricevuto gli avvisi di garanzia. E dunque di cosa stiamo parlando? È vero che ora il governo vorrebbe allungare il segreto fino al rinvio a giudizio, e questa, effettivamente sarebbe una iattura. Allora perché non concentrarsi sull'obiettivo di mantenere le norme attuali, magari rivedute in termini di inasprimento delle pene per le fughe di notizie prima degli avvisi di garanzia? Sarebbe un compromesso che salverebbe capra e cavoli e restituirebbe un minimo di civiltà al dibattito politico.
Allora, se i giornalisti vogliono fare una difesa corporativa del proprio posto di lavoro lo dicano chiaramente, non ci sarebbe nulla di male e sarebbe, anzi, più che comprensibile. Ma per favore non si tiri in ballo la libertà di stampa e la minaccia alla democrazia che viene da ben altri provvedimenti, come appunto lo stop alle intercettazioni, perché questo offende il buon senso comune e la memoria di tanti giornalisti che hanno rimesso la vita per andare a cercare le notizie lì dove si nascondeva il marcio. Vorrei solo ricordare che la verità sul caso Ustica venne fuori perché un bravo e coraggioso giornalista, Purgatori, del Corriere della Sera, non si accontentò della versione ufficiale sulla strage, ma fece un'inchiesta parallela di cui ancora oggi gli siamo grati. Ma vorrei ricordare, su un altro filone d'inchiesta, anche Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Di questo giornalismo si sente, molto, la mancanza.
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