La Corte d'Appello potrebbe rimettere in discussione l'ipotesi di reato di sola colpa da cui è partito il dibattimento di primo grado e la conseguente sentenza pronunciata dal giudice Francesco Maria Caruso per la morte di Federico Aldrovandi. La convinzione del giudice espressa nelle sue motivazioni alla sentenza è che "Assumere come ipotesi da verificare una colluttazione protrattasi per così lungo tempo (si riferisce alla frase pronunciata da uno degli imputati: "l'abbiamo bastonato di brutto per mezz'ora", ndr) e conclusasi con la morte potrebbe anche rimettere in discussione l'inquadramento giuridico della condotta e la sua configurazione in termini di sola colpa". Un'indicazione, come già sostenuto sempre su queste pagine, che vale la pena ribadire e sottolineare a circa due settimane dal deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado.
L'eventuale ricorso in appello degli imputati, dunque, si configura tutto in salita per questo macigno posto sulla loro strada dalle motivazioni del giudice Caruso.
Perché non si possa parlare di sola colpa Caruso lo spiega bene lungo tutte le sue motivazioni, per le modalità dell'intervento, "per il trasmodare di un'azione difensiva in azione dolosamente offensiva, con finalità punitive, consapevolmente eccedenti i limiti dell'uso giustificato della forza". Come si vede non ci sono mezzi termini, ambiguità, detti o non detti che potrebbero consentire scappatoie agli imputati nel loro ricorso in appello.
Con un ampio e articolato ragionamento il giudice sgombera il campo da ipotesi di morte che non siano riconducibili all'azione violenza degli agenti. Riportiamo solo un passaggio delle 567 pagine. "In entrambi i casi- concludono i consulenti delle parti civili- in presenza o meno del meccanismo asfittico, il decesso di Aldrovandi Federico è inquadrabile nell'ambito di una morte da causa violenta, posto che la excited delirium syndrome risulta causalmente ascrivibile, da un lato allo stato di agitazione psicomotoria presentato dal soggetto e, dall'altro, alla colluttazione con gli Agenti, agli sforzi ad essa correlati ed all'uso della costrizione fisica da parte degli Agenti".
"Questa conclusione che chi scrive - aggiunge Caruso dopo le parole dei consulenti - giudica di esemplare chiarezza ed assolutamente esaustiva per inquadrare il caso in schemi giuridici di elementare evidenza, senza necessità di ulteriore complessa e defatigante attività processuale, non è peraltro bastata a chiudere il caso allo stato degli atti, rendendosi necessario per giungere a conclusioni definitive un difficile e lungo dibattimento all'esito del quale non solo le conclusioni raggiunte in sede di indagini preliminari sono state totalmente confermate ma dal quale è emersa una più complessa causa di morte, ascrivibile a più forte ragione all'azione violenta, improvvida ed illegale degli agenti, lasciandosi peraltro aperti dubbi e ipotesi su una diversa, inquietante, realtà fattuale, non supportata tuttavia da prove decisive ma certamente tutt'altro che falsificata dagli esiti del dibattimento".
Anche per l'eventuale processo bis per favoreggiamento e omissioni d'atti d'ufficio contro altri funzionari della questura che agirono nell'immediatezza dei fatti non consentendo una serena valutazione degli accadimenti, abbiamo avuto modo di scrivere, ma vale la pena qui ricordare alcuni passaggi fondamentali.
In primo luogo, l'assenza del magistrato dalla scena del delitto fa scrivere a Caruso che "L'indagine nasce, quindi, con un vizio di fondo che si concreta nel paradosso dei principali indiziati di un possibile grave delitto che indagano su loro stessi, come se il gioielliere che ha sparato sul ladro in fuga fosse autorizzato a indagare sull'effettiva consistenza dell'invocata legittima difesa. Un paradosso che il semplice senso comune avrebbe dovuto prevenire. Da qui la strada in salita dell'accusa privata e lo sforzo che essa ha dovuto profondere per far cambiare di segno all'indagine". Non basta. Per non lasciare spazio ad equivoci il giudice scrive anche, a proposito dei tanti funzionari presenti in via Ippodromo la mattina del 25 settembre 2005: "sono stati padroni del campo del delitto per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle prime sommarie indagini e all'indirizzo investigativo che si è ritenuto di dare alle stesse, il che da un lato non può non lasciare perplessi […]".
Il dr. Caruso aggiunge anche che i quattro poliziotti anziché essere ascoltati come indiziati di reato per una lunga fase delle indagini "hanno fornito elementi valutati come informazioni oggettive" divenendo la versione ufficiale della questura, quella stessa versione che veniva fornita, alla famiglia di Federico, agli organi di informazione e all'allora sindaco Gaetano Sateriale in veste ufficiale di primo cittadino di una comunità che ha il diritto di sapere.
Caruso si è formato il convincimento che in realtà la presenza del magistrato, che sarebbe stata garanzia di terzietà nella conduzione delle indagini e quindi garanzia per tutte le parti in causa, "non fosse affatto gradita" tanto che le furono fornite sommarie informazioni sulle cause del decesso, senza alcun riferimento alla colluttazione con i poliziotti e all'episodio della rottura di ben due sfollagente usati per bastonare Federico di cui il magistrato verrà a conoscenza solo nel tardo pomeriggio di quel 25 settembre quando ormai la scena del delitto era già stata rimossa.
"Al mattino del 25 settembre 2005 - scrive il giudice - le indagini sulla morte di Federico Aldrovandi non furono dirette o controllate dall'Autorità giudiziaria ma dall'Amministrazione della pubblica sicurezza. […] Questa esigenza difensiva appare evidente nelle relazioni di servizio nelle quali il dato più significativo è l'uso in ricostruzione delle circostanze più favorevoli, apparentemente emerse dalle indagini freneticamente svolte nelle ore immediatamente successive dai colleghi dell'UPG. Si tratta di insindacabile e preminente esigenza difensiva del tutto giustificata e insindacabile. Ma se questo è vero, la ricostruzione degli avvenimenti deve tenere sempre presente la necessità di una verifica rigorosa delle dichiarazioni degli imputati, da ritenersi strutturalmente costruite con finalità difensive nei minuti immediatamente successivi agli eventi, progressivamente arricchite di particolari favorevoli e depurate da quelli sfavorevoli (uso e rottura dei manganelli)".
Ci auguriamo che il procedimento bis faccia chiarezza su questi aspetti così come siano sciolti i dubbi del dr. Caruso, che sono anche quelli dei cittadini, di "ipotesi su una diversa, inquietante, realtà fattuale" di quell'evento.
Ricordo per quanti fossero interessati che le motivazioni del giudice Francesco Maria Caruso sono scaricabili in versione integrale dal sito della mamma di Federico il cui link trovate nella colonna di destra di questo blog.
Giuseppe Fornaro
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