Qualche giorno fa mi è capitato di ascoltare una canzone di Pacifico e Cristina Donà, "Semplice e inspiegabile", dall'album "Una voce non basta" dello stesso Pacifico. Una bellissima canzone con un titolo geniale, una sintesi perfetta, quasi filosofica. Due soli aggettivi per definire uno dei più grandi misteri della vita: l'amore. Semplice perché è nella condizione umana innamorarsi dell'altro/a da sé, è la cosa più semplice e allo stesso tempo complicata, l'altra faccia della stessa medaglia. Semplice e naturale. Un bisogno primario come mangiare bere respirare senza il quale la specie umana non potrebbe sopravvivere. Un sentimento di cui non potremmo fare a meno, l'unico per il quale vale la pena vivere. L'amore per una persona, una comunità, per i figli. Ma nello stesso tempo inspiegabile. Quanti di noi dalla persona amata si sono sentiti rivolgere la domanda: perché proprio io? Perché ci innamoriamo di quella persona e non di un altra? Escluso l'amore incondizionato per i figli, perché rivolgiamo il nostro cuore verso una persona specifica? E' inspiegabile, per lo meno con i canoni della ragione. E la risposta che a molti di noi sarà venuta di dare, forse l'unica possibile e che invece viene dal cuore è: perché sei Tu. Semplicemente e inspiegabilmente Tu. Dove in quel Tu c'è tutto il mistero dell'accettazione dell'altro/a per quello che è. Tu e non un altro/a. Perché quel Tu è un unicum da amare. Semplice e inspiegabile.
A trentacinque anni di distanza credo valga la pena rileggere questo intervento che Pasolini tenne alla festa de l'Unità di Milano nel 1974 e pubblicato all'epoca da Rinascita . È di un'attualità impressionante. Si parla di genocidio dei valori, di crisi economica, di incapacità a distinguere "sviluppo" da "progresso" (quanto di più attuale quando tutti, anche a sinistra, ormai parlano solo di sviluppo e trascurano il progresso, tranne che nel dirsi progressisti a parole), del ritorno sinistro di valori propri della destra nazista. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti 1981, pag. 277. Vorrete scusare qualche mia imprecisione o incertezza terminologica. La materia – si è premesso – non è letteraria, e disgrazia o fortuna vuole che io sia un letterato, e che perciò non possegga soprattutto linguisticamente i termini per trattarla. E ancora una premessa: ciò che dirò non è frutto di un'esperienza politica nel senso specifico, e per così di
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