Totem. Tabù. Terreni inesplorati. Tutte definizioni che servono a manipolare e mistificare il linguaggio per non chiamare con il proprio nome una cosa che è costata ai lavoratori di questo paese sangue e lacrime come risultato di lotte e che si chiamano semplicemente, "banalmente", diritti irrinunciabili. Diritto al lavoro, ma anche diritti nel lavoro. Diritto a non essere licenziati senza giusta casa, che vuol dire a non perdere il posto di lavoro perché stai antipatico al capo per motivi personali o politici indipendentemente dal risultato del tuo lavoro; diritto a godere delle ferie, dei permessi retribuiti, delle malattie, del diritto di sciopero e di associazione sindacale, il diritto a condizioni di lavoro rispettose della dignità umana. Tutti diritti che in questo paese si sta cercando di mettere in discussione, non tanto e non solo con un attacco frontale in stile Marchionne, ma anche con un’operazione più subdola e dunque squallida come quella di mistificare il linguaggio per far credere agli italiani che i diritti nel lavoro sono un santuario che costituisce un ostacolo all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Tanto che c’è qualcuno che parla della necessità di introdurre una “flessibilità in uscita”. Un altro concetto mistificante che vuol dire mani libere nei licenziamenti. Si dice che senza questa “flessibilità in uscita” i giovani non possono entrare nel mondo del lavoro, con il risultato di mettere così i figli contro i padri, si licenziamo i padri per assumere i figli, visto che la nostra economia è in stallo. Ma un cinquantenne che esce dal ciclo produttivo difficilmente troverà un’altra collocazione e sarà destinato ad ingrossare la fascia delle povertà. Così avremo figli occupati e padri disoccupati, ma non ancora in età pensionabile. Tra l’altro in un momento in cui si discute di alzare l’asticella del limite d’età. Tutto questo, oltre ad avere il sapore della macelleria sociale, innesca un vero e proprio cannibalismo sociale fatto di astio generazionale che rischia di far perdere di vista qual è il vero nemico da abbattere, e cioè un modello di società ingiusto, iniquo, che espropria i beni comuni a vantaggio di pochi, che non perseguita gli evasori e gli speculatori e che è basato su un modello di accumulazione della ricchezza che per crescere ha bisogno di negare diritti e calpestare dignità umana. Di questo si alimenta il modello che vorrebbero propinarci facendoci credere che l’ostacolo per il raggiungimento di una crescita economica felice siano i “totem”, i “tabù” e “i terreni inesplorati”. In una parola i diritti irrinunciabili che, non si illudano, non avranno più nemmeno coloro che domani dovessero entrare nel mondo del lavoro in uno scenario simile. Perché non basta il diritto al lavoro, ma occorre saper difendere anche i diritti nel lavoro.
A trentacinque anni di distanza credo valga la pena rileggere questo intervento che Pasolini tenne alla festa de l'Unità di Milano nel 1974 e pubblicato all'epoca da Rinascita . È di un'attualità impressionante. Si parla di genocidio dei valori, di crisi economica, di incapacità a distinguere "sviluppo" da "progresso" (quanto di più attuale quando tutti, anche a sinistra, ormai parlano solo di sviluppo e trascurano il progresso, tranne che nel dirsi progressisti a parole), del ritorno sinistro di valori propri della destra nazista. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti 1981, pag. 277. Vorrete scusare qualche mia imprecisione o incertezza terminologica. La materia – si è premesso – non è letteraria, e disgrazia o fortuna vuole che io sia un letterato, e che perciò non possegga soprattutto linguisticamente i termini per trattarla. E ancora una premessa: ciò che dirò non è frutto di un'esperienza politica nel senso specifico, e per così di
E che dire dell'espressione "revisione del ciclo di vita" usata dalla Fornero? Il ciclo di vita o Life Cycle, è un concetto che si utilizza nel calcolo dell'affidabilità delle macchine, tenendo conto dei tassi di guasto dei singoli componenti che la compongono. Con questo si calcola il costo del ciclo di vita (Life Cycle Cost) della macchina, alla fine del quale la si butta via. Scusa se mi dilungo su questo concetto ma io trovo agghiacciante equiparare delle vite umane alla durata delle macchine. Se questo è il linguaggio c'è da stare molto vigili con questi "tecnici"!
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