Duemilioni di euro non restituiscono la vita ad una persona, ma il risarcimento dello Stato alla famiglia Aldrovandi sono il giusto epilogo di una battaglia civile condotta da una famiglia.
Quel risarcimento è anche un'ammissione implicita di responsabilità da parte delle istituzioni per la condotta di uomini che in quel tragico 25 settembre 2005 indossando una divisa le rappresentavano. Una reponsabilità sia per l'inefficacia dei metodi di selezione del personale delle forze dell'ordine nella valutazione delle attitudini personali, sia per l'inadeguata e insufficiente formazione a cui dovrebbe essere sottoposto chi svolge compiti delicati di ordine pubblico. Ma è un'ammissione implicita di responsabilità anche sotto un altro e più importante punto di vista: su quella morte ci sono ancora molte ombre che il processo di primo grado, nonostante le condanne, non è riuscito a diradare per la difesa corporativa scattata attorno ai quattro esecutori materiali dell'omicidio di Federico. Una di queste ombre, più volte evidenziata dal giudice Francesco Maria Caruso nelle sue motivazioni della sentenza, è quella relativa al posizionamento della prima volante. Vi sono ragionevoli dubbi, evidenziati dal giudice stesso, che la prima volante fosse in via Ippodromo fin dal 5.30 e che non sarebbe partita dalla questura come sostenuto dalla difesa e dai testimoni a discarico. Tuttavia, dal punto di vista processuale e probatorio, non vi è la certezza proprio per quella difesa corporativache prima ha fatto sì che fossero condotte delle indagini tutte sbilanciate a dimistrare l'aggressione da parte di Federico nei confronti degli agenti e poi a cercare elementi volti a scagionarli tralasciando, invece, gli elementi a carico. Tanto che in un procedimento parallelo tre agenti sono stati condannati a vario titolo per omissioni e favoreggiamento.
Ora, siccome quei ragionevoli dubbi del giudice sono anche quelli di chi scrive e di molti cittadini vien fatto di chiedere: perché quella volante era sul posto fin dalle 5.30 senza che ciò risulti in atti ufficiali? Cosa ci faceva? Perché si continua a negare questo dato fino alle omissioni e la favoreggiamento? Come mai il giudice nelle prime righe delle motivazioni scrive che il reato si configurera oltre la semplice colpa? Segno che nel giudice quei dubbi restano. E restano in noi.
Ora, se volesse, il procuratore presso la Corte d'Appello potrebbe rivedere il capo d'imputazione, riaprire l'inchiesta, scaldagliare a fondo la personalità dei quattro per trarne lelemnti di comprensione di quanto è accaduto all'alba di una domenica di cinque anni fa.
Credo che quei dubbi siano anche del ministero degli interni nella misura in cui ha riconosciuto alla famiglia Aldrovandi il risarcimento. Ma non basta, se non si vuole che al danno erariale per lo Stato causato dalla condotta di quattro sui dipendenti si aggiunga la beffa di continuare a pagare loro lo stipendio, quei quattro andrebbero radiati immediatamente dalle forze dell'ordine perché la coscienza civile non può tollerare il danno di una vita spezzata, il danno collettivo e la beffa.
Se poi quel risarcimento contiene in sé il tentativo di spezzare il fronte delle famiglie delle vittime delle forze dell'ordine che a Ferrara, in occasione dell'anniversario della morte di Federico si sono costituite in associazione, sappia il ministero che quel disegno sarà destinato al fallimento per la forza morale dimostrata dalla famiglia Aldrovandi che ha condotto un'esemplare battaglia civile per restituire onore e rispetto a Federico, per se stessa e per tutti i cittadini onesti.
Quel risarcimento è anche un'ammissione implicita di responsabilità da parte delle istituzioni per la condotta di uomini che in quel tragico 25 settembre 2005 indossando una divisa le rappresentavano. Una reponsabilità sia per l'inefficacia dei metodi di selezione del personale delle forze dell'ordine nella valutazione delle attitudini personali, sia per l'inadeguata e insufficiente formazione a cui dovrebbe essere sottoposto chi svolge compiti delicati di ordine pubblico. Ma è un'ammissione implicita di responsabilità anche sotto un altro e più importante punto di vista: su quella morte ci sono ancora molte ombre che il processo di primo grado, nonostante le condanne, non è riuscito a diradare per la difesa corporativa scattata attorno ai quattro esecutori materiali dell'omicidio di Federico. Una di queste ombre, più volte evidenziata dal giudice Francesco Maria Caruso nelle sue motivazioni della sentenza, è quella relativa al posizionamento della prima volante. Vi sono ragionevoli dubbi, evidenziati dal giudice stesso, che la prima volante fosse in via Ippodromo fin dal 5.30 e che non sarebbe partita dalla questura come sostenuto dalla difesa e dai testimoni a discarico. Tuttavia, dal punto di vista processuale e probatorio, non vi è la certezza proprio per quella difesa corporativache prima ha fatto sì che fossero condotte delle indagini tutte sbilanciate a dimistrare l'aggressione da parte di Federico nei confronti degli agenti e poi a cercare elementi volti a scagionarli tralasciando, invece, gli elementi a carico. Tanto che in un procedimento parallelo tre agenti sono stati condannati a vario titolo per omissioni e favoreggiamento.
Ora, siccome quei ragionevoli dubbi del giudice sono anche quelli di chi scrive e di molti cittadini vien fatto di chiedere: perché quella volante era sul posto fin dalle 5.30 senza che ciò risulti in atti ufficiali? Cosa ci faceva? Perché si continua a negare questo dato fino alle omissioni e la favoreggiamento? Come mai il giudice nelle prime righe delle motivazioni scrive che il reato si configurera oltre la semplice colpa? Segno che nel giudice quei dubbi restano. E restano in noi.
Ora, se volesse, il procuratore presso la Corte d'Appello potrebbe rivedere il capo d'imputazione, riaprire l'inchiesta, scaldagliare a fondo la personalità dei quattro per trarne lelemnti di comprensione di quanto è accaduto all'alba di una domenica di cinque anni fa.
Credo che quei dubbi siano anche del ministero degli interni nella misura in cui ha riconosciuto alla famiglia Aldrovandi il risarcimento. Ma non basta, se non si vuole che al danno erariale per lo Stato causato dalla condotta di quattro sui dipendenti si aggiunga la beffa di continuare a pagare loro lo stipendio, quei quattro andrebbero radiati immediatamente dalle forze dell'ordine perché la coscienza civile non può tollerare il danno di una vita spezzata, il danno collettivo e la beffa.
Se poi quel risarcimento contiene in sé il tentativo di spezzare il fronte delle famiglie delle vittime delle forze dell'ordine che a Ferrara, in occasione dell'anniversario della morte di Federico si sono costituite in associazione, sappia il ministero che quel disegno sarà destinato al fallimento per la forza morale dimostrata dalla famiglia Aldrovandi che ha condotto un'esemplare battaglia civile per restituire onore e rispetto a Federico, per se stessa e per tutti i cittadini onesti.
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