“Avrà un potere esplosivo che ancora non conosco?”, si chiede Paolo in un post su www.ilikebike.org a proposito della sua bici pieghevole che Trenitalia non accetta a bordo dei treni come bagaglio. Ebbene sì, caro Paolo. La bici ha più che un potere esplosivo, ha un potere sovversivo, dirompente sugli schemi della società dominata dal motore.
“Come sempre, il futuro si nutre di una consapevolezza chiara del passato. La bicicletta diventa così simbolo di un futuro ecologico per la città di domani e di un’utopia urbana in grado di riconciliare la società con se stessa. [...] la bicicletta forse acquista un ruolo determinante per aiutare gli uomini a riprendere coscienza di loro stessi e dei luoghi in cui vivono, invertendo, per quanto li riguarda, il movimento che proietta le città fuori da loro stesse. Abbiamo bisogno della bicicletta, per ritrovare noi stessi, proprio mentre ritroviamo un centro nei luoghi in cui viviamo. La posta in gioco nel ricorso alla bicicletta non è quindi di poco conto. Bisogna capire se, a fronte di un’ascesa galoppante dell’urbanistica che rischia di ridurre la vecchia città a un involucro vuoto, di trasformarla in una cornice per turisti o in un museo all’aria aperta, può invece esserle restituito qualcosa della sua dimensione simbolica e della sua iniziale vocazione a favorire gli incontri più inattesi. Si tratta semplicemente di ridare bellezza al caso, di cominciare a spezzare le barriere fisiche, sociali o mentali che irrigidiscono la città e di ridare senso a una parola, una bella parola: mobilità”.
E ancora: “il solo fatto che l’uso della bicicletta offra una dimensione concreta al sogno di un mondo utopico in cui la gioia di vivere sia finalmente prioritaria per ognuno e assicuri il rispetto di tutti ci dà una ragione per sperare: ritorno all’utopia e ritorno al reale coincidono. In bicicletta, per cambiare la vita! Il ciclismo come forma di umanesimo”. Tutto questo lo dice Marc Augé nel suo libro “Il bello della bicicletta”.
Alla luce di tutto ciò se ne deduce che sei, insieme a tutti noi che usiamo l’intermodalità, chi per lavoro chi per turismo, un pericoloso sovversivo.
Se poi vogliamo buttarla in politica, possiamo dire che in Italia tira una brutta aria per chiunque sia fuori dagli schemi di una società benpensante e piccolo borghese: immigrati, coppie di fatto, omosessuali, disabili, poveri, intellettuali senza tessera di partito (ad onor del vero mal tollerati in modo assolutamente bipartisan). Ultimi, ma non ultimi, i ciclisti e le loro bici. Basti vedere i recenti provvedimenti del governo sulle violazione del codice della strada da parte dei ciclisti.
Tutto questo per dirti: coraggio, non ce l’hanno con te, ma con chiunque è portatore di un’altra visione del mondo.
“Sarebbe bello se la bicicletta potesse diventare lo strumento silenzioso ed efficace di una riconquista delle relazioni e dello scambio di parole e sorrisi!”, è ancora Augé a parlare. Temo, che di questi tempi, ci sia poco da sorridere.
“Come sempre, il futuro si nutre di una consapevolezza chiara del passato. La bicicletta diventa così simbolo di un futuro ecologico per la città di domani e di un’utopia urbana in grado di riconciliare la società con se stessa. [...] la bicicletta forse acquista un ruolo determinante per aiutare gli uomini a riprendere coscienza di loro stessi e dei luoghi in cui vivono, invertendo, per quanto li riguarda, il movimento che proietta le città fuori da loro stesse. Abbiamo bisogno della bicicletta, per ritrovare noi stessi, proprio mentre ritroviamo un centro nei luoghi in cui viviamo. La posta in gioco nel ricorso alla bicicletta non è quindi di poco conto. Bisogna capire se, a fronte di un’ascesa galoppante dell’urbanistica che rischia di ridurre la vecchia città a un involucro vuoto, di trasformarla in una cornice per turisti o in un museo all’aria aperta, può invece esserle restituito qualcosa della sua dimensione simbolica e della sua iniziale vocazione a favorire gli incontri più inattesi. Si tratta semplicemente di ridare bellezza al caso, di cominciare a spezzare le barriere fisiche, sociali o mentali che irrigidiscono la città e di ridare senso a una parola, una bella parola: mobilità”.
E ancora: “il solo fatto che l’uso della bicicletta offra una dimensione concreta al sogno di un mondo utopico in cui la gioia di vivere sia finalmente prioritaria per ognuno e assicuri il rispetto di tutti ci dà una ragione per sperare: ritorno all’utopia e ritorno al reale coincidono. In bicicletta, per cambiare la vita! Il ciclismo come forma di umanesimo”. Tutto questo lo dice Marc Augé nel suo libro “Il bello della bicicletta”.
Alla luce di tutto ciò se ne deduce che sei, insieme a tutti noi che usiamo l’intermodalità, chi per lavoro chi per turismo, un pericoloso sovversivo.
Se poi vogliamo buttarla in politica, possiamo dire che in Italia tira una brutta aria per chiunque sia fuori dagli schemi di una società benpensante e piccolo borghese: immigrati, coppie di fatto, omosessuali, disabili, poveri, intellettuali senza tessera di partito (ad onor del vero mal tollerati in modo assolutamente bipartisan). Ultimi, ma non ultimi, i ciclisti e le loro bici. Basti vedere i recenti provvedimenti del governo sulle violazione del codice della strada da parte dei ciclisti.
Tutto questo per dirti: coraggio, non ce l’hanno con te, ma con chiunque è portatore di un’altra visione del mondo.
“Sarebbe bello se la bicicletta potesse diventare lo strumento silenzioso ed efficace di una riconquista delle relazioni e dello scambio di parole e sorrisi!”, è ancora Augé a parlare. Temo, che di questi tempi, ci sia poco da sorridere.
Commenti
Posta un commento