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Il #coronavirus e il rischio di una deriva tecnocratica

Mario Monti, esempio di un governo tecnocratico
La vicenda del coronavirus segna la rivincita della scienza sulla politica. Per anni negletta e sottoposta a tagli nei finanziamenti per far quadrare i bilanci pubblici, ma anche privati (si pensi che le più recenti innovazioni tecnologiche non sono nate in Italia dopo che nel mondo siamo stati i primi a concepire un computer, si veda la storia di Adriano Olivetti) ora sembra assurgere al ruolo di oracolo dalle cui labbra pende la politica. Se la scienza dice che non si può ancora uscire di casa, che non si possono riaprire le attività chiuse, la politica prontamente si allinea con provvedimenti che traducono in norme vincolanti le indicazioni della scienza stessa. Cede, insomma, la propria sovranità decisoria per cui è delegata dai cittadini attraverso il suffragio universale, ad una categoria ristretta di persone che hanno un accesso esclusivo alle conoscenze. Sulla scienza si può e si deve operare una vigilanza democratica tenendo a riferimento la salvaguardia dell'integrità della dignità della vita e attraverso questo filtro etico valutare se le ricerche e le scoperte hanno come fine il bene o il male del genere umano e del pianeta e quali siano le implicazioni della scienza applicata. Perché un conto, per fare un esempio, è scoprire il funzionamento dell'atono un altro e applicare queste conoscenze alla fissione a fini militari.
Per tornare al coronavirus i provvedimenti adottati dal governo a seguito delle indicazioni della scienza non potevano che essere quelli assunti finora. E probabilmente anche quelli futuri saranno più che giustificati se terranno conto delle indicazioni degli scienziati. Ma c'è un ma. Ed è che la politica non può e non deve usare la scienza come un alibi per delegare ad altri decisioni che Costituzionalmente le spettano. Il rischio è che una classe politica debole quale è quella attuale, di maggioranza e di opposizione, possa facilmente cedere alla tentazione di farsi guidare dai tecnici per poi dire: "ma ce lo hanno detto loro che bisognasse fare così". Lo abbiamo già vissuto con il governo Monti, una replica non potremmo sopportarla. Anche se non mi sembra sia il caso del presidente del consiglio Giuseppe Conte che da brutto anatroccolo del governo giallo-verde si è rivelato un cigno nell'attuale coalizione assumendosi personalmente ogni responsabilità delle scelte compiute, proprio come deve fare uno statista. Ma avverto il rischio di una deriva tecnocratica sulla quale bisogna tenere alta l'attenzione. Il governo si faccia guidare dalla scienza (che dovrà occuparsi prevalentemente di trovare cure e vaccini), ma alla fine decida in autonomia e soprattutto usi la scienza per farsi dire quali misure di sicurezza stringenti vanno usate per evitare il contagio nei luoghi di lavoro e obblighi i datori di lavori ad adottare queste norme, se necessario con controlli severi dell'ispettorato del lavoro e avvalendosi anche delle forze dell'ordine, fino ad arrivare alla chiusura dell'attività in caso di violazione delle norme. Perché se sono vere alcune notizie che filtrano su dipendenti di alcune case di riposo lombarde minacciati di licenziamento perché usavano la mascherina che avrebbe spaventato gli ospiti, allora è necessario un supplemento di controllo nei luoghi di lavoro. Piuttosto che prolungare sine die la chiusura delle attività, che rischia di mettere in ginocchio migliaia di famiglie e l'intera economia, si rafforzino i controlli in tutte le attività che si deciderà di aprire, così come si fa con i controlli stradali. Ma che si apra, gradualmente, ma si apra. Perché il rischio è che quando si deciderà di aprire lì fuori non troveremo più nulla e allora la scienza (l'epidemiologia, la virologia, l'immunologia) potrà farci ben poco. Sarà sulla politica che ricadranno interamente le responsabilità.

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