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A Marco Pantani, che solo un complotto poteva fermarlo




Oggi è uscita la notizia di una intercettazione telefonica di elementi della camorra che avevano puntato ingenti somme sull'uscita di scena di Pantani dal giro d'Italia del 1999 facendolo risultare positivo al doping. Chi credeva nel Pirata ha sempre saputo, pur non avendo le prove (fino ad oggi) che qualcuno lo voleva fermare.
Ripropongo oggi un mio articolo di diciotto anni fa.

Ciao Campione!

Rocca, n. 18, 15 settembre 1998

Vuoi la bicicletta? Pedala

"Gli eroi moderni", era il titolo di copertina del n. 14 di Rocca. Titolo quanto mai attuale dopo che Marco Pantani ha vinto giro d'Italia e tour del France, come fece Fausto Coppi prima nel '49 e poi nel '52. Era da allora che un italiano non vinceva le due classiche nello stesso anno. "Il Pirata", come è stato ribattezzato il ciclista di Cesenatico, è sì un eroe moderno, ma che, fino a prova del contrario, ha vinto all'antica in uno sport in cui la tecnologia ha aggiunto poco ad una pratica dove si vince con le gambe, i polmoni e i cervello. Ha vinto all'antica perché ha rifiutato le moderne regole del gioco, quelle che vogliono corridori sempre più veloci, sempre più prestanti, programmati come macchine per vincere una gara, o magari una stagione, per poi tornare nel dimenticatoio. Regole, e lo abbiamo visto con gli arresti durante il tour de France, che impongono a degli uomini di assumere sostanze tanto illegali, per chi pratica sport, quanto dannose. Ed è forse anche per questo suo modo di vincere all'antica che  molti lo accostano a Coppi.
Per questo la vittoria di Pantani non è solo un fatto sportivo, ma è diventato un fatto sociale e di costume nel momento in cui con la sua impresa ha messo in discussione quelle regole del gioco scritte da chi tira le fila di enormi interessi economici, gli sponsor in primo luogo. Ha detto, con la sua vittoria, che l'uomo, l'atleta, sono l'elemento fondamentale per vincere, che quello che conta è credere nell'obiettivo da raggiungere, che occorre soffrire per esso, che ci vuole tanta fatica, duri allenamenti, privazioni e un tocco di genio. Perché uno che vince la tappa delle Due Alpi con la pioggia e il freddo dando al suo più forte avversario nove minuti di distacco, deve avere tanta forza fisica, ma anche altrettanto genio per sapere quando scattare, quando l'avversario non ce la fa più e quando invece, lui, può partire facendo il vuoto dietro di sé.
SENZA SCORCIATOIE
Si diceva prima che la vittoria del "Pirata" è un fatto di costume perché molti di noi, io per primo, avevano dimenticato che lo sport è sacrificio, sudore, dolore, alla fine gioia, ma soprattutto lealtà. Una parola antica, spesso dimenticata, ma che non consente scorciatoie. Questa è la Legge dello sport. Così si sono fatte le grandi imprese, quelle che restano nella memoria collettiva, quelle che, per fare un esempio, ancora oggi fanno parlare di Coppi e Bartali. C'è, invece, chi, non solo nel ciclismo, ma in generale, le scorciatoie preferisce percorrerle mettendo una pietra sopra la lealtà che nello sport moderno rischia di perdersi. Perché chi assume sostanze dopanti, o manda fuori pista l'avversario, come succede nella Formula 1, commette una slealtà soprattutto nei confronti dell'avversario, ma anche nei confronti dei molti appassionati. Infatti, lealtà significa in primo logo battersi ad armi pari, mettendo in campo ciò che la natura ha donato ad un atleta senza ricorrere ad artifici. Ed è qui che la vittoria di Pantani diventa un fatto sociale, nel momento in cui ha ricordato che si può competere e vincere rispettando antiche regole, rispettando se stessi e gli altri. Un messaggio che va al di là dei confini dello sport. Da questo punto di vista, il titolo a tutta pagina di un quotidiano sportivo il giorno dopo la chiusura del tour che diceva "Grazie, Pantani!" è quanto mai azzeccato.
Anche per questo, oltre che per aver regalato emozioni forti, nomi come Coppi, Bartali, Gimondi, Merckx, ed ora Pantani sono incancellabili dalla memoria collettiva e dalla storia del ciclismo e dello sport in generale. Sono convinto che per molti anni ancora si ricorderà la tappa delle Due Alpi sul Galibier di Marco Pantani, perché, e non vorrei azzardare troppo, è diventata uno spartiacque nella storia del ciclismo moderno, un termine di paragone attraverso il quale giudicare i grandi campioni. Anche gli organizzatori del tour sembrano esserne convinti tanto che l'appuntamento del '99 potrebbe vedere molte più tappe di montagna. E' lì che si farà la selezione, che si vedranno i ciclisti veri, quelli che preferiscono gli allenamenti al doping. Finalmente sparirà la cronometro alla penultima tappa che tante polemiche aveva suscitato anche al giro d'Italia. Tappe piazzate lì per far vincere i velocisti e soddisfare gli appetiti degli sponsor che hanno portato nel ciclismo l'idea che la velocità faccia spettacolo e per questo spingono gli atleti ad assumere sostanze proibite, programmandoli a vincere poche gare, magri le più importanti, ma che fanno portare a casa un sacco di introiti pubblicitari e danno lustro.Poco importa quanto gli sportivi ricorderanno negli anni il nome di quel determinato corridore. Jean Marie Leblanc, il patron del tour sembra averlo capito.
PERCHE' SOLO IN FRANCIA
Può sembrare un paradosso, ma ci voleva uno scandalo e come contraltare una grande impresa per far scoprire a molti la bellezza del ciclismo. Uno scandalo che solo in Francia, e non in Italia, poteva venire alla luce, perché Oltralpe il doping è materia della giustizia ordinaria, mentre da noi lo sport gode di una certa extraterritorialità eessendo competente a giudicare la giustizia sportiva, che è come dire le federazioni, che è come dire gli sponsor. Tanto è vero che i corridori coinvolti sono gli stessi che avevano partecipato, neanche due mesi prima, al giro d'Italia. E allora com'è possibile che in Francia scoppi il caso e in Italia no? E' possibile che per il tour i corridori si dopassero, mentre per il giro no? Ma chi ci crede a questa favola? Questo sarà un altro capitolo della storia da scrivere per fare pulizia e riportare nello sport quella lealtà e il rispetto delle regole che sono gli elementi fondanti. Forse così i giovani potrebbero tornare ad avere degli eroi moderni positivi da ammirare, come è stato per le generazioni passate. Eroi che non siano solo i piloti di Formula 1, uno "sport" in cui, invece, la tecnologia è l'elemento fondamentale, ma che affascia molto i ragazzi di ogni età perché propone il mito della velocità e il fascino dei motori.
Cito la Formula 1 non a caso perché il giorno dopo la vittoria di Pantani in Francia mi è capitato di osservare dei bambini di età compresa fra i 6 e i 10 anni giocare con le biciclette, ma non a fare Pantani, a fare Schumacher, nonostante che il pilota tedesco il 2 agosto - lo stesso giorno in cui il Pirata tagliava vittorioso il traguardo sui Campi Elisi - nel GP di Germania è arrivato soltanto quinto con la Ferrari. Un episodio che mi ha lasciato l'amaro in bocca e fatto pensare che, forse, a partire dalle scuole bisognerebbe smetterla con quell'inutile ora settimanale di educazione fisica (retaggio, fin nel nome, del regime fascista) e cominciare a programmare lezioni di educazione allo Sport.

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