Da buon giocatore di poker Marchionne sta calando il suo bluff. Infatti, non è pensabile, da uomo intelligente qual è, che si aspettasse un plebiscito al referendum indetto da Fim e Uilm più altri minori. A questo punto è lecito supporre che si sarebbe dichiarato insoddisfatto qualunque fosse stato il risultato del referendum che non avesse sfiorato il 99% e in questo sta, precisamente, il suo bluff. Sa bene che in Italia il ricatto lavoro contro diritti, nonostante il balbettio dei partiti di opposizione e il silenzio dello stesso Presidente della Repubblica di fronte ad un attacco inaudito ai diritti dei lavoratori Costituzionalmente protetti, arriva fino ad un certo punto. E allora questa insoddisfazione sull'esito del referendum da parte del Lingotto dove vuole andare a parare?
Temo che Marchionne avesse già in mente di disinvestire in Italia e vuole ottenere con questo referendum due risultati. Il primo trasferire le produzioni all'estero sentendosi la coscienza a posto agli occhi dell'opinione pubblica ormai addomesticata; il secondo aprire un regolamento di conti definitivo con quella parte di sindaco che storicamente la Fiat ha considerato un nemico: la Fiom. Chi ha ancora memoria della storia della classe operaia alla Fiat, ricorderà i reparti confino (la famosa officina "Stella rossa") dove venivano marginalizzati e professionalmente umiliati gli iscritti al sindacato metalmeccanico della Cgil, gli iscritti al Pci e tutti coloro che non si allineavano. Una pratica che è andata avanti anche dopo la storica sconfitta del sindacato nel 1980. Dunque, Marchionne vuole aprire la caccia alle streghe addossando la responsabilità dell'esito del referendum, che solo lui, a suo insindacabile giudizio, ritiene insoddisfacente, per scatenare una resa dei conti tra i lavoratori, all'interno del sindacato e tra sindacato e azienda. Insomma, un Maccartismo dagli esiti preoccupanti che rischia di travalicare i confini della fabbrica trovando piena sintonia con il principale inquilino di Palazzo Chigi.
Se così è si tratta di un vero e proprio disegno eversivo. Ed uso questo termine nel senso proprio di sovvertimento delle regole della convivenza civile e delle relazioni industriali moderne. Epifani e la maggioranza della Cgil avrebbe dovuto capire questo disegno anziché attardarsi in dichiarazioni speranzose sulla possibile ripartenza nella difesa dei diritti a fronte degli investimenti. Ammesso che gli investimenti, a questo punto, ci siano sul serio - considerato il picco di massima estrazione del petrolio e il conseguente aumento costante e progressivo dei costi del carburante e l'inquinamento che rendono l'auto un prodotto maturo destinato al declino, come ha magistralmente scritto oggi Guido Viale sul manifesto – sarà difficile ripartire da un punto così basso, tanto più che nel frattempo dei diritti in molte realtà produttive si sarà fatta strage e insieme ad essi la credibilità del sindacato subirà un altro duro colpo e con essa la possibilità di un lavoro per la difesa collettiva e organizzata dei diritti. Questo di Pomigliano rischia di essere un altro 1980 alla Fiat, quando il sindaco subì la storica sconfitta dalla quale non si è più ripreso, con la differenza che allora si perse con dignità combattendo sul campo, adesso invece la resa è stata incondizionata.
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