Da oggi i calciatori riprendono gli allenamenti seppur in forma individuale e subito vengono sottoposti al tampone per verificarne l'eventuale positività al covid-19. Sacrosanto! Peccato che la stessa cosa non si faccia per quelle migliaia di lavoratori che da oggi hanno ripreso a lavorare e per tutti quelli che non hanno mai smesso nei settori considerati essenziali. Da una parte pochi privilegiati, dall'altra una moltitudine che vive in appartamenti normali, che è costretta ad usare i mezzi pubblici e a spostarsi per le città per soddisfare i propri bisogni primari di vivere.
Non si è ancora capito se questa sciatteria nell'effettuare i tamponi sia dovuta al fatto che mancano i reagenti, che i laboratori non ce la farebbero a reggere l'urto di migliaia di diagnosi da fare, o se è un problema di costi che vanno contenuti evitando di fare gli accertamenti. Quando si rivolge questa domanda agli esperti le risposte sono sempre sfuggenti. Fateci caso.
In una regione considerata all'avanguardia nella sanità come l'Emilia Romagna, solo il 3,63% della popolazione, su quattro milioni e mezzo di abitanti, ha ricevuto un tampone. Ed è tutto dire!
Una cosa sola bisognava fare e i sindacati avrebbero dovuto pretendere al tavolo con il governo, e cioè che per accedere alla Fase 2 una volta individuate le attività oggetto di ripresa tutti i lavoratori, prima di tornare al lavoro, dovessero essere sottoposti al tampone. Proprio come i calciatori. Invece, tutto ciò che hanno ottenuto è la sanificazione degli ambienti e delle postazioni di lavoro, oltre ai dispositivi di sicurezza individuali. Sic! L'ennesima delusione sindacale, compresa la Cgil del "mitico" Landini. Sarebbe stata una cosa non troppo complicata da organizzare. Le imprese oggetto di riapertura avrebbero dovuto comunicare i nominativi dei lavoratori all'Ausl competente per territorio che avrebbe provveduto a richiamarli e sottoporli a tampone, come si fa già in molte regioni con gli screening di massa. Dice, col senno di poi è facile parlare. Bene, si faccia da ora in poi. Non è mai troppo tardi. O vogliamo pensare che ancora una volta i lavoratori sono considerati carne da macello sacrificabile? Se è vero, come ci dicono, che ci sono molti positivi asintomatici, se è vero, come sostiene un prestigioso istituto di virologia britannico che ha fatto delle stime per ogni singolo paese e che all'Italia attribuisce un 10% di positivi, cioè sei milioni di persone, che senso ha riaprire senza mappare la diffusione del virus? C'era bisogno di ripartire perché molte persone rischiavano di perdere definitivamente il lavoro e in questa situazione sarebbe ancora più complicato trovarne un altro, ma si poteva, e si doveva, fare tutto in sicurezza. Invece, ancora una volta si è cercata la scorciatoia. La bramosia economica, che è la stessa da cui origina questo virus, temo ci farà ricadere nello stesso incubo. Mi auguro di essere smentito.
Non si è ancora capito se questa sciatteria nell'effettuare i tamponi sia dovuta al fatto che mancano i reagenti, che i laboratori non ce la farebbero a reggere l'urto di migliaia di diagnosi da fare, o se è un problema di costi che vanno contenuti evitando di fare gli accertamenti. Quando si rivolge questa domanda agli esperti le risposte sono sempre sfuggenti. Fateci caso.
In una regione considerata all'avanguardia nella sanità come l'Emilia Romagna, solo il 3,63% della popolazione, su quattro milioni e mezzo di abitanti, ha ricevuto un tampone. Ed è tutto dire!
Una cosa sola bisognava fare e i sindacati avrebbero dovuto pretendere al tavolo con il governo, e cioè che per accedere alla Fase 2 una volta individuate le attività oggetto di ripresa tutti i lavoratori, prima di tornare al lavoro, dovessero essere sottoposti al tampone. Proprio come i calciatori. Invece, tutto ciò che hanno ottenuto è la sanificazione degli ambienti e delle postazioni di lavoro, oltre ai dispositivi di sicurezza individuali. Sic! L'ennesima delusione sindacale, compresa la Cgil del "mitico" Landini. Sarebbe stata una cosa non troppo complicata da organizzare. Le imprese oggetto di riapertura avrebbero dovuto comunicare i nominativi dei lavoratori all'Ausl competente per territorio che avrebbe provveduto a richiamarli e sottoporli a tampone, come si fa già in molte regioni con gli screening di massa. Dice, col senno di poi è facile parlare. Bene, si faccia da ora in poi. Non è mai troppo tardi. O vogliamo pensare che ancora una volta i lavoratori sono considerati carne da macello sacrificabile? Se è vero, come ci dicono, che ci sono molti positivi asintomatici, se è vero, come sostiene un prestigioso istituto di virologia britannico che ha fatto delle stime per ogni singolo paese e che all'Italia attribuisce un 10% di positivi, cioè sei milioni di persone, che senso ha riaprire senza mappare la diffusione del virus? C'era bisogno di ripartire perché molte persone rischiavano di perdere definitivamente il lavoro e in questa situazione sarebbe ancora più complicato trovarne un altro, ma si poteva, e si doveva, fare tutto in sicurezza. Invece, ancora una volta si è cercata la scorciatoia. La bramosia economica, che è la stessa da cui origina questo virus, temo ci farà ricadere nello stesso incubo. Mi auguro di essere smentito.
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