Ci si chiede come mai gli ospedali non hanno retto all’urto
dell’epidemia Covid-19. Una risposta la dà la Corte dei conti, organo di
rilevanza Costituzionale, dunque fonte quanto mai attendibile: i tagli alla
sanità che si sono susseguiti negli anni hanno determinato “una sostanziale
debolezza della rete territoriale”, secondo quanto riportato da “Il fatto
quotidiano” di domenica 31 maggio. Rete territoriale che non è costituita solo
dagli ospedali, molti dei quali, soprattutto quelli più piccoli, sono stati
chiusi, ma anche dalla medicina di base e persino dalle guardie mediche che
hanno seguito tutti lo stesso destino di tagli, da 45.437 a 43.731 per i medici
di famiglia e da 12.027 a 11.688 per le guardie mediche. E mentre le famiglie
per curarsi tra il 2012 e il 2018 spendevano un +14.1% la sanità pubblica
investiva solo il 4.5. Nello stesso periodo i posti letto sono scesi da 230.396
a 210.907, circa di 20mila in meno. Nel frattempo il personale sanitario a sua
volta subiva un taglio di 27mila posti. Tanto che durante l’emergenza si è
dovuto correre ai ripari immettendo in corsia specializzandi.
E ancora: non è bastato chiudere ospedali e tagliare posti letto, si sono depotenziate anche le strutture di prossimità, gli ambulatori, per intenderci. “Si tratta degli ambulatori – scrive la Corte – in cui si erogano prestazioni specialistiche come l’attività clinica, di laboratorio e di diagnostica strumentale”. Nel 2017 erano 8.867, meno 4.3% rispetto al 2012. Poi ci si meraviglia delle liste d’attesa bibliche e del perché la sanità privata trovi spazi in cui inserirsi.
Tutto ciò, scrive la Corte dei conti, “ha fortemente pesato sulla gestione dell’emergenza sanitaria” e “ha lasciato la popolazione senza protezioni adeguate”. C’è di che riflettere se si volesse impostare una reale politica sulla difesa della salute pubblica.
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