Doveva arrivare un virus, un nemico invisibile, ma non meno insidioso di un esercito, e che come un esercito sta facendo migliaia di morti in tutto il mondo, per farci fermare a riflettere su chi siamo, sul nostro modello di consumi e di relazioni col mondo, con gli altri e con noi stessi. Ci fa fermare perché ci costringe all'isolamento, a ridurre la velocità con la quale normalmente ci muoviamo nel mondo. Le distante tra paesi tornano ad essere incolmabili come tre-quattrocento anni fa. Niente più voli intercontinentali e nemmeno intracontinentali. Le distanze fisiche tornano ad essere una barriera di separazione.
Non è un caso che questo nemico arrivi dalla Cina, il paese che per antonomasia negli ultimi anni viaggia ad una velocità di sviluppo impressionante. La crescita del Pil per il 2020 prima del coronavirus era prevista per il paese della Grande Muraglia al 6% , contro appena il nostro 0.6%. Nonostante ciò, al momento, siamo il secondo paese al mondo più colpito dal contagio. Tutto ciò, a volerlo vedere, ci dice che non possiamo crescere illimitatamente in un contesto limitato qual è il nostro pianeta. E allora se non lo capiamo con la nostra intelligenza, quella di cui crediamo essere portatori, ci pensa la natura, o la legge universale di equilibrio tra tutti i componenti dell'universo (cui io credo) a sbatterci in faccia la dura realtà. Lì dove c'è disarmonia nelle relazioni tra gli uomini e tra gli uomini e il loro ambiente, lì interviene la natura a ristabilire un equilibrio violato. I terremoti, le inondazioni, le pandemie cosa sono se non una reazione della natura per ristabilire il suo naturale equilibrio? O crediamo che la natura sia un oggetto inanimato di cui possiamo disporre a nostro piacimento e senza limiti? Beh, non è così! Sono ormai molti i segnali che la natura ci sta mandando. E ci sta dicendo anche che siamo troppi in questa casa comune. Lo so, è un'affermazione forte e difficile da digerire, ma quanto pensiamo possa ancora crescere la popolazione mondiale senza che si scatenino guerre per la spartizione delle risorse più di quante finora si sono verificate e sono tutt'ora in corso?
Proviamo, poi, a pensare: qual è stato il primo effetto fisico del coronavirus in Cina? E' stato il fatto che l'aria delle grandi metropoli, a seguito del blocco di tutte le attività, è tornata ad essere respirabile. Ecco un effetto fisico tangibile nel quale c'è scritto a chiare lettere che se vogliamo vivere in un ambiente sano dobbiamo rallentare. Non c'è altra soluzione. Quindi tutti chiusi in casa, spostamenti ridotti all'essenziale persino nelle nostre stesse città. Rallentare! Ecco, questa è la parola d'ordine ai tempi del coronavirus. Rallentare la diffusione del contagio, in primo luogo, per non far collassare il sistema sanitario che non riuscirebbe a quel punto a garantire le cure e la sopravvivenza a tutti i contagiati. Rallentare la nostra corsa ai consumi: niente bar, niente ristoranti, niente beni non essenziali. Cosa ci dice tutto ciò? Che forse è giunto il momento di pensare ad una cultura del meno: meno sviluppo, meno consumi, meno profitti. Ma più relazioni umane, più rispetto dell'ambiente.
Spesso si confonde lo sviluppo col progresso, che sono due cose completamente diverse. Voglio dirlo con le parole che Pasolini usò nel 1974 in un intervento alla festa de l'Unità di Milano e pubblicato all'epoca da Rinascita e poi raccolto negli Scritti corsari: "la classe dominante ha scisso nettamente "progresso" e "sviluppo". Ad essa interessa solo lo sviluppo, perché solo da lì trae i suoi profitti. Bisogna farla una buona volta una distinzione drastica tra i due termini: "progresso" e "sviluppo". Si può concepire uno sviluppo senza progresso, cosa mostruosa che è quella che viviamo in circa due terzi d'Italia; ma in fondo si può concepire un progresso senza sviluppo, come accadrebbe se in certe zone contadine si applicassero nuovi modi di vita culturale e civile, o con un minimo sviluppo materiale. Quello che occorre – ed è qui a mio parere il ruolo del partito comunista e degli intellettuali progressisti – è prendere coscienza di questa dissociazione atroce e rendere coscienti le masse popolari perché appunto essa scompaia, e sviluppo e progresso coincidano". A quanto pare, un appello caduto nel vuoto.
L'altro effetto paradossale di questo isolamento forzato è che improvvisamente abbiamo riscoperto il desiderio di socialità. Quando la natura ci ha costretti a stare in casa per via di un virus, improvvisamente abbiamo scoperto che le relazioni virtuali non ci bastano più e tutti fuori al parco, fino agli assalti ai treni per raggiungere affetti lontani senza considerare il rischio reale di diffondere il contagio. Persino i leoni da tastiera sembrano aver riscoperto la socialità fisica. Quindi questo accidente che ci è capitato ci dice che non possiamo vivere gli uni senza gli altri e che proprio per questo è necessario assumere dei comportamenti di tutela della propria salute individuale, ma anche di quella collettiva attenendosi alle regole per non diffondere il contagio. Se vogliamo il coronavirus ci sta dando un'occasione straordinaria: ci sta regalando il tempo per fermarci a riflettere.
Non è un caso che questo nemico arrivi dalla Cina, il paese che per antonomasia negli ultimi anni viaggia ad una velocità di sviluppo impressionante. La crescita del Pil per il 2020 prima del coronavirus era prevista per il paese della Grande Muraglia al 6% , contro appena il nostro 0.6%. Nonostante ciò, al momento, siamo il secondo paese al mondo più colpito dal contagio. Tutto ciò, a volerlo vedere, ci dice che non possiamo crescere illimitatamente in un contesto limitato qual è il nostro pianeta. E allora se non lo capiamo con la nostra intelligenza, quella di cui crediamo essere portatori, ci pensa la natura, o la legge universale di equilibrio tra tutti i componenti dell'universo (cui io credo) a sbatterci in faccia la dura realtà. Lì dove c'è disarmonia nelle relazioni tra gli uomini e tra gli uomini e il loro ambiente, lì interviene la natura a ristabilire un equilibrio violato. I terremoti, le inondazioni, le pandemie cosa sono se non una reazione della natura per ristabilire il suo naturale equilibrio? O crediamo che la natura sia un oggetto inanimato di cui possiamo disporre a nostro piacimento e senza limiti? Beh, non è così! Sono ormai molti i segnali che la natura ci sta mandando. E ci sta dicendo anche che siamo troppi in questa casa comune. Lo so, è un'affermazione forte e difficile da digerire, ma quanto pensiamo possa ancora crescere la popolazione mondiale senza che si scatenino guerre per la spartizione delle risorse più di quante finora si sono verificate e sono tutt'ora in corso?
Proviamo, poi, a pensare: qual è stato il primo effetto fisico del coronavirus in Cina? E' stato il fatto che l'aria delle grandi metropoli, a seguito del blocco di tutte le attività, è tornata ad essere respirabile. Ecco un effetto fisico tangibile nel quale c'è scritto a chiare lettere che se vogliamo vivere in un ambiente sano dobbiamo rallentare. Non c'è altra soluzione. Quindi tutti chiusi in casa, spostamenti ridotti all'essenziale persino nelle nostre stesse città. Rallentare! Ecco, questa è la parola d'ordine ai tempi del coronavirus. Rallentare la diffusione del contagio, in primo luogo, per non far collassare il sistema sanitario che non riuscirebbe a quel punto a garantire le cure e la sopravvivenza a tutti i contagiati. Rallentare la nostra corsa ai consumi: niente bar, niente ristoranti, niente beni non essenziali. Cosa ci dice tutto ciò? Che forse è giunto il momento di pensare ad una cultura del meno: meno sviluppo, meno consumi, meno profitti. Ma più relazioni umane, più rispetto dell'ambiente.
Spesso si confonde lo sviluppo col progresso, che sono due cose completamente diverse. Voglio dirlo con le parole che Pasolini usò nel 1974 in un intervento alla festa de l'Unità di Milano e pubblicato all'epoca da Rinascita e poi raccolto negli Scritti corsari: "la classe dominante ha scisso nettamente "progresso" e "sviluppo". Ad essa interessa solo lo sviluppo, perché solo da lì trae i suoi profitti. Bisogna farla una buona volta una distinzione drastica tra i due termini: "progresso" e "sviluppo". Si può concepire uno sviluppo senza progresso, cosa mostruosa che è quella che viviamo in circa due terzi d'Italia; ma in fondo si può concepire un progresso senza sviluppo, come accadrebbe se in certe zone contadine si applicassero nuovi modi di vita culturale e civile, o con un minimo sviluppo materiale. Quello che occorre – ed è qui a mio parere il ruolo del partito comunista e degli intellettuali progressisti – è prendere coscienza di questa dissociazione atroce e rendere coscienti le masse popolari perché appunto essa scompaia, e sviluppo e progresso coincidano". A quanto pare, un appello caduto nel vuoto.
L'altro effetto paradossale di questo isolamento forzato è che improvvisamente abbiamo riscoperto il desiderio di socialità. Quando la natura ci ha costretti a stare in casa per via di un virus, improvvisamente abbiamo scoperto che le relazioni virtuali non ci bastano più e tutti fuori al parco, fino agli assalti ai treni per raggiungere affetti lontani senza considerare il rischio reale di diffondere il contagio. Persino i leoni da tastiera sembrano aver riscoperto la socialità fisica. Quindi questo accidente che ci è capitato ci dice che non possiamo vivere gli uni senza gli altri e che proprio per questo è necessario assumere dei comportamenti di tutela della propria salute individuale, ma anche di quella collettiva attenendosi alle regole per non diffondere il contagio. Se vogliamo il coronavirus ci sta dando un'occasione straordinaria: ci sta regalando il tempo per fermarci a riflettere.
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