In ordine da sx: Zibordi, Cattaneo, Gessi e Marattin |
Pubblicata da ferraraitalia.it il 26/07/2014.
La tavola rotonda di giovedì 24
luglio, “Una via d’uscita dalla crisi: proposte concrete per la ripresa
economica” organizzata da ferraraitalia è stata da un lato un’occasione di
approfondimento sprecata, non certo per demerito del moderatore, dall’altro l’occasione
per toccare con mano, ancora una volta, quanto le diverse scuole di pensiero in
campo economico fatichino a trovare un punto di incontro.
L’occasione mancata credo vada
attribuita innanzitutto all’assessore al bilancio del Comune di Ferrara Luigi
Marattin, uno dei relatori, per la sua arroganza irritante. Ha esordito male
definendo “una setta” i sostenitori degli altri due relatori, Marco Cattaneo e
Giovanni Zibordi, e ha concluso peggio alzandosi e abbandonando la sala per
essere stato interrotto da Zibordi. Un atteggiamento di chi non tollera di
essere contraddetto e che pensa che ogni luogo sia un’aula universitaria dove
lui insegna e dove può tenere monologhi indisturbati. Una caduta di stile che
non si addice a chi dovrebbe sentirsi sicuro delle sue posizioni.
Il punto è proprio questo. E qui
affronto prima una questione politica, poi entrerò nel merito delle questioni
dibattute. Marattin è un tecnico chiamato ad amministrare la cosa pubblica e
come tutti i tecnici (ne abbiamo avuto prova a livello di governo centrale)
affezionati alle proprie teorie, pensa che l’amministrazione della cosa
pubblica sia un laboratorio dove attuare esperimenti di economica politica,
dove la ricerca pura può essere trasferita nell’applicazione concreta senza che
ciò possa produrre dei danni. Anzi, sono talmente convinti della bontà delle
teorie che non ne vedono gli effetti negativi. Le teorie neoliberiste, di cui
Marattin è un sostenitore, hanno fatto in tutta Europa centinaia di migliaia di
morti. In Italia credo che l’apice si sia toccato col governo Monti. Qui sta il
vulnus. La politica, quando si affida ai tecnici, si spoglia del proprio ruolo
di indirizzo e di filtro tra le teorie e le soluzioni proposte dagli esperti e
le istanze che provengono dalla società. Questo ruolo di interposizione, di
filtro, di mediazione (in senso alto del termine) è proprio il compito e il
ruolo specifico della politica che deve saper valutare costi e benefici anche
in termini di consensi e quindi di benefici per la larga parte della società.
Quando salta questo ruolo di mediazione i costi pagati dalla collettività sono
molto alti. Ora, Marattin, come Monti, anche se su un sedicesimo, incarna nella
stessa persona entrambe le figure: l’accademico affezionato alle proprie teorie
e l’amministratore pubblico fiero di applicare quelle teorie alla società. Ma
la società non è un laboratorio dove si può mettere in conto la perdita delle
cavie. Faccio un esempio concreto. Marattin fa un vanto pubblico la riduzione
delle imposte comunali di cui è artefice perché ritiene, come gli altri due
ospiti della serata, che occorra un’immissione di liquidità nel sistema, così
comincio ad entrare nel merito. Dice che nonostante la riduzione delle tasse,
sempre per fare un esempio, è stato aperto un nuovo asilo nido a Ferrara. Bene,
nessuno può dire di essere contento di pagare le tasse e sono contento per i
genitori che troveranno maggiori disponibilità di posti. Ciò che non dice
Marattin è che quell’asilo nido è affidato in gestione a dei privati, i quali
assumono le educatrici non a tempo indeterminato, non a tempo determinato, ma a
giornata, attraverso la corresponsione del salario con dei voucher, dei pezzi
di carta che il datore di lavoro acquista in posta o addirittura in tabaccheria
e che girerà al lavoratore che poi dovrà andare a cambiare per trasformarli in
soldi. È evidente a tutti la spersonalizzazione del rapporto di lavoro. Il
vantaggio per il datore di lavoro è la massima flessibilità nella gestione
delle risorse umane, nessun diritto per i lavoratori (ferie, malattie e
permessi), un consistente risparmio sui contributi previdenziali che sono
versati in forma ridotta. Questo è il risultato. La barbarie nel mondo del
lavoro introdotta in questo paese di cui Marattin sembra fiero sostenitore. Del
resto il suo partito, il Pd, ha votato tutte queste leggi, quando addirittura
non se ne è fatto promotore, vedasi il recente ddl sul lavoro del ministro Poletti.
Mi fermo qui perché altrimenti si aprirebbe un capitolo su come questa
amministrazione comunale intenda le scuole di infanzia, non come pubblica
istruzione, ma come servizio di badantato.
Per quanto riguarda il merito del
dibattito, Cattaneo e Zibordi per uscire dalla crisi propongono un’immissione
di 200 miliardi di euro da parte dello Stato sotto forma di buoni di credito a
due anni da distribuire ai cittadini con i quali essi pagheranno le imposte e
tutte le altre transazioni con la pubblica amministrazione. Secondo gli autori
del libro “La soluzione per l’euro”, Hoepli, questo sarebbe un escamotage per
aggirare il divieto di stampare moneta, potere di cui gli stati sovrani si sono
spogliati per affidarlo alle banche che si fanno pagare gli interessi da cui, in
realtà, deriva il debito dello Stato e non dallo sbilancio tra entrate e uscite
che sarebbero coperte se ci fosse la possibilità di stampare moneta. Con questi
buoni di credito i risparmi dei cittadini non sarebbero intaccati per il
pagamento delle imposte e quella liquidità andrebbe in circolo attivando un
meccanismo virtuoso come se si fosse stampata moneta nuova.
Qui viene il punto di discordia, su
cui Marattin ha insistito più volte tenendo una lezione accademica molto
tecnica e poco divulgativa. Secondo Marattin stampare moneta significa
innescare un meccanismo inflattivo pericolosissimo per l’economia, ma
soprattutto il rischio è che per raffreddare l’inflazione bisogna poi ricorrere
a nuove imposizioni fiscali. E qui il Marattin “politico” non è d’accordo,
perché nuove tasse significa minore consenso. E il Marattin economista spiega
che le tasse innescano un processo recessivo nell’economia. Punto. Insomma,
Marattin è furbescamente simpatico: usa il doppio ruolo per rafforzare scelte
che sono eminentemente politiche ammantandole per scelte inevitabili perché
derivanti da una verità rivelata. La sua. Quella accademica. Il giochino
funziona dove ci sono bassi livelli di scolarità, caro Gigi!
Comunque, io non sono d’accordo con
i “due” Marattin. Eventuali nuove imposizioni fiscali, in un contesto in cui lo
Stato stampasse moneta in proprio e quindi l’economia è in una situazione
virtuosa, non avrebbero effetti recessivi per due motivi abbastanza semplici e
intuibili da chiunque: il primo, è che un prelievo fiscale, modulato a
decrescere nel tempo, interverrebbe in una fase espansiva dell’economia e
dunque in presenza di un’accumulazione della ricchezza prodotta. Pertanto, costituirebbe
un freno relativo a nuovi investimenti da parte dei privati e delle famiglie.
Il problema è che in Italia non si è
mai fatta una seria ed equa politica fiscale. Tant’è che i vari governi, fino,
direi, ai primi anni Ottanta, rastrellavano risorse in modo massiccio non
attraverso la fiscalità, ma attraverso i titoli di Stato che acquistavano,
guarda caso, proprio coloro che avrebbero avuto da perdere da una seria
politica fiscale, coloro che avevano accumulato ricchezze. E paradosso dei
paradossi lo Stato si indebitava proprio con coloro che avrebbe dovuto colpire.
Un debito che ci trasciniamo ancora oggi. Per questo sono d’accordo con Zibordi
quando dice che l’austerità è servita alla rendita finanziaria per arricchirsi.
Altrimenti non si spiegherebbe perché, per fare un esempio, i Merloni decidono
di vendere l’Indesit, un’azienda florida, agli americani. Dove impiegheranno
gli introiti della vendita? Sicuramente in speculazioni finanziarie. Intanto,
il paese ha perso un altro marchio mady in Italy.
Il secondo motivo, è che le entrate
della fiscalità in uno Stato efficiente danno a loro volta impulso alla spesa
pubblica innescando una crescita e rendendo non più necessaria la stampa di
nuova moneta. E per spesa pubblica non intendo gli sprechi che questo paese e
questa città conoscono, ma spesa in ricerca, istruzione, salute, trasporti
pubblici, sostengo alle piccole imprese e alle imprese di giovani, welfare,
sostegno al reddito a chi malauguratamente perde il lavoro. Insomma, spesa in
benessere per i cittadini che può tradursi in crescita della produttività
singola e aggregata. Sarà anche per questo che la produttività dei paesi del
nord Europa, dove la spesa pubblica è più alta, è superiore alla nostra? Sarà
mica che non è solo una questione di arretratezza tecnologica, ma di benessere
sociale?
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